La basilica dell’Annunziata a Genova si è riempita di canti e fiori per la preghiera “Morire di Speranza” che ogni anno la Comunità di Sant’Egidio organizza insieme ad altre associazioni impegnate nell’accoglienza e nell’integrazione delle persone fuggite da guerre o da situazioni insostenibili nei loro Paesi (Agesci, Masci, Ufficio Diocesano Migrantes, Caritas diocesana, Ceis, Sma, Comunità di vita cristiana CVX, Komera Rwanda, Tavolo Giustizia e Solidarietà, Comunità Papa Giovanni XXIIII). Centinaia tra migranti e persone comuni si sono raccolte in preghiera per rendere omaggio ai loro compagni che hanno perso la vita nei viaggi verso l’Europa.
Una celebrazione commossa, presieduta da da mons. Gianni Grondona, Vicario episcopale per la comunione ecclesiale e la sinodalità, in cui si è fatta memoria degli oltre 61 mila morti e dispersi dal 1990 ad oggi. Di questi almeno 21.000 hanno perso la vita dal 2015 in poi. Ma si sono ricordate anche le vittime della guerra in Ucraina, i 323 bambini morti dall'inizio del conflitto, la maggior parte nelle regioni di Donetsk, Kharkiv, Kiev e Chernihiv.
Sono 3.200 i profughi che, da gennaio 2021 ad oggi, hanno perso la vita nel Mediterraneo e lungo le vie di terra, cercando di raggiungere l'Europa, alla ricerca di un futuro migliore. Solo di pochi si conosce il nome: per ognuno di loro si è accesa una candela, perché il ricordo di ogni morte non vada perduto. Come quella di Mousa, del Mali, il piccolo Omar, del Gambia, insieme ad altri giovani i cui corpi sono stati recuperati tra il 3 e il 17 aprile scorsi nel fiume Kupa, al confine tra Croazia e Slovenia, mentre tentavano di raggiungere l'Italia.
“Sono donne e uomini spinti della speranza di un mondo migliore - ha spiegato don Grondona - e queste loro morti ci provocano: noi abbiamo il coraggio di desiderare un mondo migliore? Che non sia basato solo sul potere l’immagine e la ricchezza. Dal Mediterraneo e dalle tante frontiere inventate dagli uomini sale un grido di denuncia a cui dobbiamo rispondere con i fatti”
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