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"Noi qui oggi vogliamo testimoniare qualcosa di più profondo: il male, anche quello assoluto, non ha l'ultima parola." Con queste parole l'arcivescovo di Genova Marco Tasca è intervenuto il 3 novembre alla marcia organizzata dalla Comunità di Sant'Egidio, dalla Comunità ebraica di Genova e dal Centro Culturale Primo Levi in ricordo della deportazione degli ebrei genovesi del 1943. All'appuntamento, divenuto negli anni un importante momento cittadino e quest'anno trasformato in sit-in a causa dell'allerta meteo, hanno partecipato oltre settecento persone. Hanno occupato ordinatamente galleria Giuseppe Siri, davanti al teatro Carlo Felice, a pochi passi dalla pietra d'inciampo dedicata al rabbino Riccardo Pacifici, catturato dalle SS naziste proprio il 3 novembre del 1943 e deportato ad Auschwitz, insieme ad altri 237 ebrei prelevati da Genova e nelle riviere. Solo in 10 hanno fatto ritorno. Una pagina buia della nostra storia in cui brilla l'esempio dei giusti che si sono spesi per aiutare quanti erano perseguitati. "Non c'è futuro senza memoria, ma io credo non ci sia neanche presente senza memoria - ha detto Ariel Dello Strologo, presidente della Comunità ebraica di Genova - "se crediamo che la memoria sia un oggetto da mettere su un comò e da tirare fuori una volta l'anno abbiamo sbagliato tutto. Il presente quotidiano chiede di fare memoria tutti giorni, scegliendo da che parte stare". Ed é un bel segno la presenza numerosa dei giovani italiani e migranti, alcuni dei quali a reggere i cartelli con i nomi dei campi di concentramento. "Ricordare - ha sottolineato Andrea Chiappori, responsabile di Sant'Egidio in Liguria - "non é soltanto la risposta a chi nega la storia, ma anche una contestazione silenziosa della dimenticanza, una delle declinazioni dell'indifferenza nel nostro tempo". E prima della preghiera conclusiva, dedicata a tutti gli ebrei vittime della persecuzione nazifascista, il rabbino capo di Genova Giuseppe Momigliano, ha invitato quanti "desiderano il bene e il futuro della città" a cogliere l'insegnamento della Shoah perché "dal ricordo della tragedia possano spuntare dei semi di vita".




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